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Lavoro o lavoretto?

Innovazione o trucco per abbassare tutele e costo della manodopera?

Opportunità per chi è ai margini o business redditizio per pochi?

In Italia secondo l’INPS la gig economy coinvolge almeno 750mila persone con situazioni ed esigenze diverse.

E i ciclofattorini sono solo la punta dell’iceberg.

Inchiesta sulla gig economy in Italia

Gig economy /ˈɡɪɡ ɪˌkɒn.ə.mi/

Un termine inglese che definisce qualcosa di così eterogeneo che di definibile ha ben poco, soprattutto in Italia. Una categoria emergente di servizi on-demand Il lavoro on-demand si sviluppa soprattutto grazie a piattaforme digitali che gestiscono la relazione tra domanda e offerta quasi in tempo reale. Il committente trova immediatamente forza lavoro disponibile, i lavoratori un'estrema flessibilità (decidono se e quando portare a termine il compito assegnato). Ma il rapporto non è sempre così equilibrato. forniti da schiere di crowdworkerI crowdworker sono lavoratori che incontrano i propri committenti (imprese o privati) su piattafome online. I committenti possono rivolgersi al singolo utente o alla 'folla', da cui poi verranno selezionati coloro che si aggiudicheranno il lavoro. Un sistema che annulla l'intermediazione vecchio stampo e amplia l'offerta di lavoro a livello globale., letteralmente ‘lavoratori della folla’, utenti virtuali il cui impiego “offline” si lega indissolubilmente all’attività online. Un’economiaSecondo l'INPS, nella gig economy il lavoro ha natura discontinua ed è strutturato sulla base di compiti o obiettivi (task/gig) gestiti attraverso una piattaforma digitale. Il lavoratore dovrebbe avere ampi spazi di autonomia, senza penalizzazioni in caso di rifiuto. In alcuni casi il lavoratore mette a disposizione beni strumentali propri (es. smartphone, bicicletta). Il cliente non è generalmente procacciato dal lavoratore: è sempre l’azienda ad intercettare la domanda di beni/servizi e ad organizzarne la gestione. (Fonte: INPS, Rapporto Annuale 2018). che le applicazioni e le piattaforme digitali, grandi e piccole, hanno contribuito a far emergere in maniera dirompente negli ultimi anni.

In un paese come l'Italia dall’alto tasso di disoccupazione e con una quota di lavoratori autonomi molto sopra la media europea, questa economia si è trasformata in una sorta di terra di mezzo, dove attraenti opportunità di lavoro flessibile si mescolano ad abusi e nuove forme di sfruttamento lavorativo.

Prometteva di eliminare l’intermediazione del lavoro e i suoi costi, ma sull'app più famosa - Uber - lavorano fattorini assunti da imprese esterne. Mentre le piattaforme di lavoro online trattengono un quinto del salario dei loro utenti.

Le applicazioni per la consegna di cibo a domicilio, le piattaforme per freelancer e le emergenti startup dei ‘lavoretti’ trovano terreno fertile nelle distorsioni tipiche del mercato del lavoro italiano. Così fioccano le consegne a 3 euro o le traduzioni a bassissimo prezzo, i task di Amazon Mechanical Turk a 1 centesimo e le commissioni del 20% di Upwork. Ma questa corsa al ribasso non cancella le opportunità introdotte dal lavoro su piattaforma, soprattutto per gli studenti, i disoccupati e tutti coloro che hanno bisogno di arrotondare o di un secondo lavoro per ‘arrivare alla fine del mese’.

Ad approfittare dell’abbattimento delle barriere d’accesso ai lavori on-demand ci sono anche i migranti - compresi quelli senza documenti -, particolarmente vulnerabili agli abusi ma grati a chiunque li faccia lavorare, anche a condizioni indecenti.

In Italia secondo l’INPS sono più di 750mila persone che, in mancanza di un intervento chiaro che preveda tutele e salari minimi senza ‘ingessare’ una posizione di per sé fluida, continueranno a lavorare nel limbo delle prestazioni occasionali o fuori da qualsiasi tracciabilità fiscale o previdenziale.

Milano è la ‘smart city’ italiana dove si sono stabilite la maggior parte delle imprese della gig economy attive nel nostro paese ed è il luogo principale delle opportunità e dei fenomeni connessi a questo settore emergente.

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